Il mondo dei computer non sarà mai più quello di prima, parola di scienziati. Perché finalmente sono riusciti a fare quello che si riteneva impossibile: hanno fermato la luce e l’hanno intrappolata in un solido. In poche parole, hanno arrestato fasci di fotoni (le particelle di cui è fatta la luce), che viaggiano a 300 mila km al secondo, bloccandoli e immagazzinandoli in un cristallo (per la precisione, silicato di ittrio drogato con terre rare). A farlo per primi sono stati Philip Hemmer e Selim Shahriar all’Air Force Research Laboratory di Hanscom, un centro studi militare legato alla Nasa, nel Massachusetts. È una notizia che ha dell’incredibile, ma ancora più incredibili saranno le applicazioni che questa conquista apporterà nell’elettronica e nelle telecomunicazioni. Perché controllare la luce significa dominare i fotoni per utilizzarli negli apparati elettronici, inclusi i computer.
“Saremo finalmente in grado di costruire computer quantistici capaci di immagazzinare una mole gigantesca di informazioni con una precisione assoluta e totale”, spiega Hemmer, ricercatore presso l’A&M University del Texas, “così come saremo in grado di trasmettere una massa altrettanto enorme di dati, incomparabile rispetto a oggi. Inoltre, essendo i dati manipolati quantisticamente, la loro sicurezza sarà totale e inviolabile.” L’informazione così crittografata potrà essere infatti codificata e quindi letta soltanto da chi possiede la stessa chiave. Ma che cos’è esattamente un computer quantico (vedere anche riquadro nella pag. a fianco)? Secondo l’astrofisico giapponese Michio Kaku rappresenta “the ultimate computer”, il computer definitivo: come a dire, dopo di esso nulla di più potente potrà essere creato. In sostanza si tratta di un elaboratore che opera a livello subatomico, attraverso le particelle invisibili di cui è composta la materia. Quindi, segue le leggi della meccanica quantistica e non più quelle del codice binario utilizzato dalle macchine di Turing, cioè dai computer tradizionali. È ovvio che un’innovazione così forte “aprirà le porte a un modo di operare che tuttora risulta ancora inconcepibile per la mente umana, dal momento che permette l’esistenza di condizioni finora separate [da un lato la materia intangibile, dall’altro quella invisibile, ndr]”, spiega Gianni Degli Antoni, docente di informatica all’Università di Milano. “In sostanza tutto ciò rappresenta una trasformazione profonda anche sul piano filosofico, perché ci farà pensare in modo differente.”
“Già oggi”, dice Michio Kaku, “i transistor quantistici (primi rudimentali tentativi di dare vita a un computer quantistico) non sono più solo i sogni pazzi di un fisico immerso in realtà subatomiche. In laboratorio sono già stati creati.” E adesso, dopo il successo dell’esperimento di Hemmer e Shahriar, le ricerche in questo settore avranno un’improvvisa accelerazione, visto che si è trovato un modo per immagazzinare l’energia luminosa sotto forma di onde magnetiche di natura quantistica. “A questo punto”, prosegue Kaku, “i tecnici potranno sostituire gli attuali transistor quantistici, che ancora utilizzano fili e circuiti tradizionali, con veri e propri elaboratori in grado di operare a livello di onde quantiche, quindi di materia subatomica.
Naturalmente dovremo attendere ancora un bel po’ di anni prima di ritrovarci sul mercato questi gioielli portentosi.” Ma il dado è tratto. La cosa ancora più sorprendente è però provare a immaginare quali incredibili macchine potrebbero nascere da questa pletora di studi, ancora in odore di fantascienza, nel momento in cui si riuscisse a utilizzare molecole di Dna per costruire computer quantistici, facendo cioè in modo che i codici della vita incontrino quelli della materia. A quel punto, reputano gli esperti, le macchine avranno raggiunto una tale complessità che sarà per loro possibile replicare i 100 miliardi di neuroni e i triliardi di sinapsi che costituiscono il cervello umano.
E da questi complessi labirinti di interconnessioni potrebbero un giorno affiorare i primi veri sistemi d’intelligenza “non umana”. In molti laboratori del mondo gli scienziati hanno già iniziato a sperimentare l’uso di “vere” reti neurali animali per creare computer organici, oltrepassando la linea di confine tra materia animata e materia inanimata. Uno dei pionieri di questo nuovo filone della ricerca è senza dubbio William L. Ditto, un giovane fisico del Georgia Institute of Technology, che è stato capace, in via sperimentale, di combinare i normali circuiti di silicio con neuroni di sanguisuga, cioè con cellule nervose viventi.
Ditto e i suoi colleghi sono partiti dall’idea che un elaboratore “biologico”, ossia in grado di sfruttare reti neurali organiche, dovrebbe presumibilmente fornire risposte corrette anche basandosi su informazioni parziali (cosa che invece non avviene nei computer attuali, che hanno bisogno di programmazione e immissione di dati per elaborare qualsiasi risposta). I neuroni di sanguisuga hanno dimostrato proprio questa superiore funzionalità: facendo rimbalzare i dati fra loro (un po’ con lo stesso principio con cui opera un computer quantistico), sono in grado di eseguire attività “simili al pensiero”, come dice Ditto.