Ero in auto l’altro giorno, come tutte le mattine per recarmi sul posto di lavoro, quando alla radio hanno trasmesso “Sotto il segno dei Pesci” di Venditti.
Come ultimamente spesso mi capita (sarà l’età che avanza) nel mio cervello è scattato qualcosa. Un click, un flash. Un ricordo del passato.
In pochi secondi ho rivissuto un bellissimo periodo dei miei 15 anni di età.
E’ proprio vero, a volte esistono degli episodi che segnano in modo indelebile la propria crescita.
Chi ha trascorso ormai da tempo quegli anni, e parlo del periodo che va dai 13 ai 16 anni di vita spensierata, non potrà che pensarci e darmi ragione.
Il mio ricordo di oggi va ad una estate di più di 30 anni fa (ebbene si, 32 per l’esattezza).
Quasi un intero mese trascorso al mare a più di 700 km di distanza da casa (e oggi io per primo avrei paura a mandare mia figlia piccola anche solo all’Oratorio!).
Senza papà e mamma, vicino Latina per l’esattezza, grazie ad un viaggio organizzato dai miei zii con mio cugino.
Una casa presa in affitto praticamente di fronte al mare, dove bastava attraversare la strada e si era con i piedi già nella sabbia.
Un asciugamano, crema, sole e bagni senza fine. Una doccia in cortile per lavarsi via il sale e la sabbia prima di salire a pranzare.
Certo la situazione non era delle più allegre, stava molto male il padre di mia zia, ma a quell’età sembra che nulla di brutto possa accadere a te e a chi ti sta intorno e quindi anche la cosa più tremenda e terribile viene vissuta come una scena sbiadita di un film.
La famiglia di origine di mia zia è una famiglia di contadini e coltivatori. Nonno Fiorenzo e nonna Mafalda non hanno comunque mai fatto mancare nulla ai figli. Scuola, università, educazione e valori saldi e solidi.
Così quell’estate è trascorsa, tra pomeriggi al mare, gite in centro a Latina in Autobus, la sera in fattoria e le serate passate da amici e parenti di zia tutti sulla strada dove ancora esiste oggi la casa patriarcale (la fattoria, le stalle e il fienile).
Ricordo ancora il caldo, forte e potente. Ricordo il sole che tramontava prestissimo ed io che chiedevo a mio cugino “ma Piero, sono le sei e sta già diventando buio?”.
Ricordo le zanzare e le cavallette grosse come cuccioli di gatto (no, dai, forse erano più piccoli, ma solo un poco).
Ricordo le prime lampade “fulmina insetti” che ho visto nella mia vita.
Le ho viste far saltare l’impianto elettrico quasi tutte le sere, a causa dei “giganti” che finivano sopra alla griglia elettrificata e l’inconfondibile odore di pollo bruciato subito dopo.
E ricordo soprattutto gli amici che lì avevo conosciuto e con cui insieme ho trascorso quell’estate.
Cugini di mio cugino e anche i loro amici.
Serate intere a parlare, giocare a carte, a mangiare uva, kiwi (mai visti prima) e fette di cocomero (ma zia non è un’Anguria quella?)
A cantare tutti insieme urlando stonati le canzoni di Venditti (che ovviamente non sapevo nemmeno chi fosse all’epoca!).
I campi ormai tutti vuoti, era già passato il trattore per il raccolto.
Le corse nella fattoria, dietro al fienile, le ranocchie che cercavamo di catturare nel fiumiciattolo o nello stagno dietro la fattoria con i miei “facciamo in fretta dai, senti che puzza che c’è qui”.
I giochi, i pipistrelli, le lucciole e i grilli.
Passavano i giorni e le serate, e dopo quasi un mese i saluti.
Gli arrivederci, gli addii. Le promesse “ma no, dai che ci scriviamo tutte le settimane” (si, incredibile si usava davvero ancora fare lettere a mano all’epoca!) e i “ci vediamo l’anno prossimo”. Entrambe le promesse purtroppo non sono state mantenute.
Purtroppo trascorrono poi così inesorabili i giorni, le settimane, i mesi, gli anni e a quell’età si trovano subito altri interessi, altri pensieri e cose da fare.
Tutto passa di mente. Si annebbia. Ci si scorda.
Fino a che ti capita un giorno di accendere la radio in macchina…